Title
Fuoricampo
VERTEBRE SACRALI:
OSSO E ALBERO
di Giuseppe Ferrara
La colonna vertebrale mi ha sempre ricordato un albero percorso dalla sua linfa vitale, un canale che mette in comunicazione terra e cielo. Radici e astri.
Non riuscirei a trovare migliori parole da abbinare alla Poesia che queste: osso, colonna vertebrale, albero.
Dall’albero della vita nelle Sefirot ebraiche, all’energia vitale, il chi, del Tao o alla kundalini della tradizione indiana fino all’inconscio del mondo occidentale, la colonna vertebrale si conferma, nelle diverse tradizioni, come il luogo dove la forza vitale si concentra e si distribuisce nel corpo, in uno scambio continuo tra uomo e cosmo, singolarità e moltitudine, proprio lo stesso scambio che avviene nella Poesia.
Questo potrebbe già metterci nelle condizioni di considerare la Poesia come qualcosa di ‘naturale’ e dunque essenziale per la nostra vita. Verrebbe da dire: ut natura poësis.
Nella lingua ebraica le parole osso e albero hanno es come radice comune e, sempre in ebraico, la parola osso significa anche essenza. La colonna vertebrale e l’albero sono i custodi dell’essenza, del midollo, dove si formano le strutture primarie della identità: il sangue, la linfa.
Grazie a successivi adattamenti della colonna vertebrale la nostra specie ha intrapreso il suo processo di ‘verticalizzazione’ che le ha permesso di sviluppare competenze raffinatissime come quelle dell’uso delle mani e della parola. La Poesia è dunque davvero osso e albero.
La nostra colonna vertebrale è formata da 7 vertebre cervicali, 12 dorsali, 5 lombari e 5 vertebre sacrali, fuse queste ultime tra loro (come le rimanenti, da 3 a 5, che formano il coccige).
Il numero 5 da sempre ha avuto a che vedere con la materia (i cinque sensi, le cinque dita...) ed è nella parte bassa del nostro corpo che si espletano le funzioni primarie per la sopravvivenza (la digestione, la sessualità) e nel bacino si articolano le gambe. Quindi nella parte bassa, deputata alle funzioni più primitive, permane una matrice originaria con la sua aura di mistero e sacralità.
Questo asse posturale d’osso che conferisce una verticalità arborea, sembra quasi presentire un allineamento armonico tra le ‘radici’ (il tratto sacrale/impulso) e la chioma (tratto cervicale/testa) passando per il cuore/tratto dorsale.
E non fa forse questo da sempre la Poesia: collegare impulso e testa attraverso un cuore?
Torniamo alle vertebre sacrali comunemente raccolte nel termine osso sacro. Le funzioni che questo osso svolge sono principalmente due: protezione e sostegno. Per quanto riguarda la prima, l’osso sacro si occupa di fornire protezione al tratto sacrale del midollo spinale e ai genitali femminili considerati appunto sacri perché ‘generatori di vita’.
L’altra funzione consiste nel sostenere la parte superiore del nostro corpo ed aiutarla a reggere il ‘peso’.
È dunque grazie a queste essenzialità che il mondo degli impulsi e degli istinti si dispone a una dimensione, in tutti i sensi, più elevata.
La linfa anima la materia. La parola produce vita.
Non fa forse questo, ‘solo’ questo, la Poesia?
Verticalità e profondità dunque sono tenute insieme concretamente nella colonna vertebrale, l’osso e l’albero.
Ci sono poi altre evidenti somiglianze, questa volta di natura strutturale e non simbolica, tra la colonna vertebrale e la poesia: la disposizione prevalentemente verticale della composizione poetica; le strofe disposte come vertebre con dischetti intervertebrali più o meno distanziati o più o meno deformati.
Questo aspetto si ritrova in particolar modo nei cosiddetti haibun dove si alternano brani di prosa ad haiku, i famosi componimenti giapponesi composti da due quinari (il 5) inframmezzati da un settenario (il 7).
Non voglio dilungarmi oltre queste poche osservazioni che alcuni degraderanno a ingenue suggestioni personali mentre altri promuoveranno, per lo meno, a singolari coincidenze. Resta il fatto che la colonna vertebrale, l’albero e la poesia, per questa loro comune topologia, si costituiscono come correlativo oggettivo di ‘emozioni’ (ispirazione e aspirazione).
Come pure è un fatto che la lingua è la prima ‘foglia’ della spina dorsale: una foglia immersa nella grande foresta del linguaggio.
E se la lingua è l’inerzia del linguaggio allora il corpo è l’inerzia della lingua: le parole, con la loro materialità di ‘oggetti’ sonori e visivi, sono l’incarnazione di idee che si agitano nella mente in uno stato che non è ancora parola.
Grazie a regole che al poeta si consegnano, il pensiero astratto si fa carne – propriamente lingua – e acquisisce forma grazie alle difficoltà di un respiro, alla fluidità di un passo. Non si tratta dunque di un pensiero antecedente al corpo, ma dell’incontro tra una necessità e un’altra che chiamiamo caso: tra un vago contenuto mentale e un concreto dizionario di termini; tra il fluire di un ritmo celeste e lo stare di una radicalità terrestre.
In fondo, essere poeta vuol dire semplicemente questo: passeggiare in questa ‘vasta foresta’ e restare in ascolto.
È nell’orecchio che si scrivono enigmi mai pronunciati a viva voce.
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Il presente testo è pubblicato nella raccolta di Giuseppe Ferrara Vertebre sacrali (Interno Libri, 2023)
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Immagine di copertina: Gino de Dominicis, Calamita cosmica, 1988
15/02/2024