Title
Fuoricampo
A SUD DELL’UOMO.
SULLA POETICA
DI VITTORINO CURCI
di Giuseppe Todisco
Non è un caso che il primo testo di Poesie (2020 – 1997), raccolta antologica di Vittorino Curci, si intitoli proprio Viaggio nel Mezzogiorno – due concetti (‘viaggio’ e ‘Mezzogiorno’) che potremmo definire cardini della poetica curciana. Il viaggio affrontato da Vittorino, però, non prevede uno spostamento geografico, bensì un movimento costante lungo la linea temporale. Ma, dato che il futuro si può solamente prefigurare («avevo nutrito l’attesa pensando al futuro come / un grande noce davanti alla casa»), il suddetto viaggio può imboccare un’unica direzione: quella che conduce al passato.
Memoria dunque, ma non come condizione di conquista. Quasi mai, quello del poeta, è un ricordare nostalgico. In poesia, il recupero del vissuto ha funzione interlocutoria e il dialogo che si crea con il tempo trascorso genera uno spazio di meditazione attorno al quale ridefinire i significati della propria esistenza.
nello stesso spezzone di tempo
le tessitrici delle madie grandi
ridono di noi che abbiamo imparato
a scongiurare il peggio
da maestri che alzando ostacoli
ci amavano, da domande cruciali
troncate a mezzo
La vita, giunta come consegna da chi ci precede, si impara gradualmente. Certo, il processo di apprendimento è tanto difficoltoso quanto più si è esposti al mistero della parola, poiché sta nella lingua il destino di chi vive aggrappato a un foglio.
Il rischio che si corre, se non si viene a capo di sé stessi, è quello di trovarsi davanti a qualcosa di incompiuto.
un vuoto, un grande vuoto
e giorni che si perdono a vista d’occhio
in giorni mai vissuti dove sei solo
un uomo che attraversa la strada.
Nella visione poetica di Vittorino Curci, la definizione del sé non ha a che fare solamente con questioni affettive, geografiche e socio-culturali. La costruzione dell’io passa anche attraverso elementi estranei («c’era dell’altro, cellule stellate che vagavano / nel blu di metilene, cose pensate / per un tempo che non è questo»), fattori giunti da un trascorso lontano che affonda le proprie radici nel presente di ciascuno. Deriva da ciò quella memoria atavica alla quale si può accedere solo attraverso un duro lavoro di scavo, facilitato dalla propensione introspettiva dello scrivere in versi.
È quindi il tempo a costruire l’uomo, oppure è l’uomo a far sì che il tempo edifichi in lui una struttura che gli permetta di ritornare quando il suo percorso ha avuto fine? Siamo davanti all’eterno avvicendarsi di pieno-vuoto, luce-ombra, presente ogniqualvolta il verso viene interrotto per andare accapo. Ma questa alternanza vita-morte non è pura questione metrica e allora può succedere che, nell’inversione, la realtà si deformi:
nella traversata la barba e i capelli
crescono due centimetri al giorno.
gli oggetti fuori posto e la cascaggine
mi impediscono il ritorno.
[...]
ma rovesciamo il ragionamento
e dotiamoci di coraggio.
la realtà non corrisponde a niente
Il ritorno costante della vita attraverso un’altra vita può dunque presentarsi come una sorta di enjambement, dove la rottura della coesione metrico-sintattica, l’andare a capo, coincide con il trapasso a cui fa seguito la ripresa, nel verso successivo, del periodo logico-esistenziale.
la sezione aurea di ogni vita
è una resa dei conti, un impulso elettrico
sui nervi cranici. ora siete voi
che dovete fare la vostra parte
La sezione aurea è una rappresentazione figurativa del numero aureo, ossia un numero irrazionale che non termina mai. Stiamo parlando di infinitezza e prolungamento della vita al di là del limite individuale. Tale continuum, oltre ad una estensione del significato, genera anche un passaggio di memoria. C’è dunque una vita che ci vive dentro e della quale percepiamo solo dei barlumi, pezzi di un mosaico impossibile da ricostruire poiché non siamo in grado di porre un fermo all’esistenza («la cerimonia è stata commovente. alla fine / è rimasto qualcosa nell’aria. / ci siamo abbracciati vagando nella sala / come particelle di un moto browniano»). Risulta allora difficile individuare i segni lasciati del passaggio di ciascun individuo lungo questo interminabile percorso.
se tu non sfociassi nel molteplice
per celarti al mondo
ti chiederei se è nel presente, nell’evidenza
del presente, che il passato
ammette i suoi fallimenti. ma qui
non ci sono tracce di te, nessuno ti ricorda.
questa città è senza memoria
Nelle poesie di Vittorino Curci, la perdita di identità coincide spesso con la perdita del nome («ogni giorno gli stessi passi / le stesse facce che per esistere / chiedevano soltanto un nome»). Rispondere ad un richiamo specifico genera consapevolezza. Se questa viene meno, ci si perde nella folla. A smarrirsi, però, non è soltanto l’individuo, ma anche il messaggio che egli porta. Infatti il mancato riconoscimento fa sì che non ci sia un preciso destinatario a cui consegnare la propria storia.
in un momento di quiete
fingono di andare via.
chi sono? perché fanno questo?
(se potessero mentire, anche
in presenza del come-si-chiama,
lo farebbero)
in tanto silenzio – uno strano
silenzio – si insinua il dubbio:
e se volessero dirci qualcosa?
È nell’essere umano una propensione alla coscienza che collide con l’incoscienza del mondo. «La sequenza vale più di noi», scrive l’autore, rimarcando la supremazia della continuità di specie rispetto alla vita del singolo. Questo scontro innesca nell’uomo un senso di inutilità proprio di chi non riesce a sentirsi parte di qualcosa, poiché l’umanità è un concetto troppo vasto per poter generare inclusione. Nasce da qui l’esigenza di tornare costantemente sul passato, di interrogarlo, nel tentativo di darsi un senso.
Riavvolgendo la propria vita, si ritorna spesso al periodo felice dell’infanzia. Nella poesia di Vittorino Curci, tale tendenza è ancora più accentuata. Però, quella richiamata dal poeta nei suoi versi, è soprattutto l’infanzia dell’uomo, periodo pre-coscienziale caratterizzato dal prevalere dell’istinto sulla ragione e del vivere sul vissuto. Solo il fanciullo può, col suo sguardo ingenuo, restituire all’uomo la propria storia insegnandogli ad articolare quel nome venuto meno lungo il percorso.
il bambino che disegna mi fa vedere
che cos’è un orso, un uomo con
la maschera, una giornata come oggi
la levatrice e suo marito parlano
ad alta voce, un minuto dopo, il silenzio
un giovedì che potrebbe chiamarsi
martedì o sabato, un tintinnio di posate
in cucina, un cavallo di nome carlo
Se il tempo scorre, allora lo fa verso un punto. Dovendoci orientare, potremmo dire che esso muove verso un ipotetico Nord – anche detto settentrione –, contraddistinto come luogo dell’avvenire. Di conseguenza, in direzione opposta avremmo il Sud – ovvero il meridione –, come luogo dell’avvenuto. Si intuisce, quindi, perché sia tanto stretto il legame tra meridione e memoria. E da questo legaccio, Vittorino Curci – uomo del Mezzogiorno e poeta – è doppiamente vincolato poiché, così come la memoria, a sud di qualsiasi individuo agisce la poesia in quanto testimonianza del vivere che fronteggia qualsiasi fatto compiuto.
per durare fin dove arriva
il braccio tra due spazi
ma io non ripeto se tutto con me
comincia, qui e non solo intorno,
conservando, pur dopo essere guarito,
un piccolo dolore...
no, non più, non io
che sono la neve ghiacciata sull’argine,
un testimone come gli altri
*
Immagine di copertina: Cavalli, Grotta di Lascaux (Francia), 15.000 a.C.
07/10/2021