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e le travi di casa fanno amo al tempo
che avvizza, cardando schiuma lento
(pur) ridendo d’ottobre sani d’oltrevivere
che i morti si conservano per anni — bene
asciutti — ferecide d’un farsi notte e sonno
di noi, il giorno si copre ancora fino agli occhi
troppo il fuori e nuova lingua che s’impetri
disincarni, che perduri: loro
le contorsioni della terra, loro
a chiamarsi e un’altra pioggia
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l’ira feconda alle ginocchia, ai vespri
nel petto e queste piccole morti
inerbate a mucchi ai piedi del letto
il solo dentro è la casa, la malsana
coi cimici e piccola orazione
che nessuno abita
un giorno che si calma solo a morsi
esondato oltre la roggia il più nulla
irraccolto e questi giunchi
a stringere i polsi
strangolare le notti già morte
soffocate e lo sono
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un paese fatto inverno
pieno d’occhi
come creste di gallo fluorescenti
smangiati e iracondi anche i febbrai
e si fa noi
noi l’omettere il fare torto
noi impilati conficcati come astri noi deposti
ornamenti noi i settembri i grandi aperti
i fianchi sempre caldi
munti a stento recitiamo
anche l’ultima sua voce
Fabio Orecchini (Roma, 1981) è poeta, artista e permacultore. In poesia ha pubblicato: Dismissione (prima ed. Polimata, 2010; seconda ed. Luca Sossella, 2014), Per Os (Sigismundus, 2017), Figura (Oèdipus, 2019), Malbianco (Edizioni Volatili, 2021) e Nemat (Industria & Letteratura, 2024). Suoi testi sono tradotti in inglese, arabo, romeno e spagnolo. È presente in diverse antologie e collabora con la casa editrice Argolibri, per la quale dirige le collane “Talee” (con A. Franzoni) e “Fuori catalogo”.
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Fotografia © Osamu Yokonami
15/11/2024