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Quando viene quella scarica,
accuratissima, stringo sempre le labbra
a due dita, è lei, è l’oscena prefazione
del fine vita, è rito, preghiera:
che gli si spezzi adesso il fiato,
o che duri minuti, ore, una vita intera;
predico una voracità immonda,
strabica, che non sa mai cosa adorare:
se i miei orgasmi, se il suo silenzio
o i suoi spasmi, se la vita o la sua
parte terminale; ma io l’assecondo
l’assecondo l’assecondo, godo, piango.
È tutto da rifare. La morte è l’unico
amore che posso dare.
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Lievita il marmo triste
già a coprire l’arcata bionda
dei capelli muti
dimagra il vigore della narice
l’aria indegno cielo già impallidita
fiaba morta l’io
e come ogni funerale adolescente
a piangere c’è pure Dio.
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E così lasci metà del suo seno alla vita
che per sgualcirti non dice; ingenua:
l’usura penetra anche il gravido
sottovuoto che ti ha resa per poco felice;
ma lo ignori, tristissima creatura
ridente. Tuo figlio come te sarà infelice.
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E chiedi cosa mi giace dietro:
non io, tesoro; questo me che tu ami
non risiede. Un marchio a vuoto.
È questa tua fede, sola, a costruirmi;
di me non c’è nulla in questo mondo
che mi somigli.
Riccardo Delfino (2000) studia Filosofia presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. Ha pubblicato le raccolte Il sorriso adolescente dei morti (RP Libri, 2021) e Versicidio (Terra d’ulivi, 2023).
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Immagine di copertina: Paul Delvaux, Le soir tombe, 1970