VINCENZO CARDARELLI
Poesie scelte
***
La speranza è nell’opera.
Io sono un cinico a cui rimane
per la sua fede questo al di là.
Io sono un cinico che ha fede in quel che fa.
Autunno
Autunno. Già lo sentimmo venire
nel vento d’agosto,
nelle pioggie di settembre
torrenziali e piangenti,
e un brivido percorse la terra
che ora, nuda e triste,
accoglie un sole smarrito.
Ora che passa e declina,
in quest’autunno che incede
con lentezza indicibile,
il miglior tempo della nostra vita
e lungamente ci dice addio.
Passato
I ricordi, queste ombre troppo lunghe
del nostro breve corpo,
questo strascico di morte
che noi lasciamo vivendo,
i lugubri e durevoli ricordi,
eccoli già apparire:
melanconici e muti
fantasmi agitati da un vento funebre.
E tu non sei più che un ricordo.
Sei trapassata nella mia memoria.
Ora sì, posso dire
che m’appartieni
e qualchecosa fra di noi è accaduto
irrevocabilmente.
Tutto finì, così rapito!
Precipitoso e lieve
il tempo ci raggiunse.
Di fuggevoli istanti ordì una storia
ben chiusa e triste.
Dovevamo saperlo che l’amore
brucia la vita e fa volare il tempo.
Gabbiani
Non so dove i gabbiani abbiano il nido,
ove trovino pace.
Io son come loro,
in perpetuo volo.
La vita la sfioro
com’essi l’acqua ad acciuffare il cibo.
E come forse anch’essi amo la quiete,
la gran quiete marina,
ma il mio destino è vivere
balenando in burrasca.
Partenza mattutina
Al mio paese non posso dormire.
Sempre mi leverò coi primi albori
e fuggirò insalutato.
Quanti mattini della mia infanzia
furon simili a questo,
libeccioso e festivo,
con la marina burrascosa in vista
e la terra bagnata.
Quante volte percorsi questa strada
ove oggi mi ritrovo e mi stupisco
d’essere ancora al mondo.
Sconosciuto, inatteso,
eccomi in via di nuovo
per quella stazioncina solitaria
in cui vissi bambino, a cui ritorno,
e tutto il mio passato
mi frana addosso.
Inorridisco al suono
della mia voce.
***
Ispirazione per me è indifferenza.
Poesia: salute e impassibilità.
Arte di tacere.
Come la tragedia è l’arte di mascherarsi.
Arabesco
Se non fossero i ritorni
che mi assicurano l’eternità!
I belli orizzonti che ospito
negli occhi con poco amore
e mutano rapidamente,
se non fosse il sagace inganno
che si consuma nella mia memoria
a riserbarmene il senso!
Poi da un barlume, un ricordo,
forse illusorio, ariose nostalgie,
recuperate realtà distese.
Dalle ignude concezioni
le prospettive ridenti
che si rifanno!
E i suoni, difficile scherzo,
senza dei quali il ritmo non sussiste.
Alla deriva
La vita io l’ho castigata vivendola.
Fin dove il cuore mi resse
arditamente mi spinsi.
Ora la mia giornata non è più
che uno sterile avvicendarsi
di rovinose abitudini
e vorrei evadere dal nero cerchio.
Quando all’alba mi riduco,
un estro mi piglia, una smania
di non dormire.
E sogno partenze assurde,
liberazioni impossibili.
Oimè. Tutto il mio chiuso
e cocente rimorso
altro sfogo non ha
fuor che il sonno, se viene.
Invano, invano lotto
per possedere i giorni
che mi travolgono rumorosi.
Io annego nel tempo.
Attesa
Oggi che t’aspettavo
non sei venuta.
E la tua assenza so quel che mi dice,
la tua assenza che tumultuava,
nel vuoto che hai lasciato,
come una stella.
Dice che non vuoi amarmi.
Quale un estivo temporale
s’annuncia e poi s’allontana,
così ti sei negata alla mia sete.
L’amore, sul nascere,
ha di questi improvvisi pentimenti.
Silenziosamente
ci siamo intesi.
Amore, amore, come sempre,
vorrei coprirti di fiori e d’insulti.
Tristezza
Fra tanto daffare che c’illude
creare un brivido è nulla.
Gettare fra opera e opera,
come un largo raggio pulviscolare
fra due montagne lontane,
una pausa di meraviglia;
scoprire nell’inconscio atto
la ferma presenza d’un rito;
e rasentando, mentre tu discorri,
qualchecosa che annulla ogni ragione,
obbligarti a sostare –
che senso ha tutto questo?
Il mondo conosce le anime
ai varchi visibili e attivi.
L’avvenire s’apre
a precipizi davanti a noi.
Delle nuove epiche insonnie
il mondo non vuol sapere.
Offerto mi sono
in tante invisibili comunioni!
Spezzato mi sono
per tante anime accorte,
celatamente, ignaro del mio dono!
Rendendomi tutto
in ogni momento,
come a Dio.
Ma l’uomo che non vide nulla,
non opera non frutto non fatica,
sia pure assurda, compiuta,
aspetta sempre un segno ch’io non fo.
E se viene a parlarmi è come il cieco
che manda la sua faccia
sempre fuori del punto cui vuole,
e un poco anche le sue parole.
Vincenzo Cardarelli (pseudonimo di Nazareno Caldarelli) nacque a Corneto Tarquinia, in provincia di Viterbo, nel 1887 e morì a Roma nel 1959. Non seguì studi regolari e presto si trasferì nella capitale, dove esercitò i più diversi mestieri, per orientarsi infine al giornalismo e alla letteratura. Nel 1911, a Firenze, cominciò con un certo successo a dedicarsi alla poesia; collaborò a riviste importanti, come «La Voce» e «Il Marzocco», e fu tra i fondatori de «La Ronda» nel 1919, una rivista che mirava a restituire dignità classica e aristocratica alla letteratura. Nel 1922, dopo che la pubblicazione venne interrotta, riprese l’attività giornalistica come direttore de «La Fiera Letteraria». Ebbe una vita riservata, schivo da ambizioni e successi. Nel 1929 ottenne il Premio Bagutta per il volume Il sole a picco; nel 1948 il Premio Strega per la prosa Villa Tarantola.
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Testi selezionati da Poesie (Mondadori, 1971)