Verba Picta
LIBERTÀ E RIGORE.
I “TEOREMI SULL’ARTE”
DI BRUNO MUNARI
di Mary Todisco
Un riquadro bianco con due buchi neri in basso, equidistanti: è l’immagine di copertina di Teoremi sull’arte (Scheiwiller, 1961, ripubblicato nel 2003 da Corraini Editore) di Bruno Munari.
Collocare degli oggetti in un campo non è operazione da poco. Infatti, a seconda della posizione, l’oggetto attribuisce all’insieme un significato preciso. Senza di esso, il campo non assume ancora un valore spaziale.
Un critico attento come Guido Ballo ha osservato che la caratteristica fondante di tutti i lavori di Munari è da ricercare nel fatto che nulla sta mai fermo, tutto si muove, al fine di creare immagini che si formano e si disfano, proprio come avviene, talvolta lentissimamente, in natura. Ne nasce un’arte che ricerca l’imprevisto mediante le regole, dove lo spazio è sospeso, aperto e dinamico.
Se l’intera produzione di Munari sfugge alle categorie specializzate di un ragionare costrittivo (ora lo si scopre artista, ora grafico, ora designer, ora – con un termine da lui coniato – ‘operatore visuale’, sempre scrittore e poeta nelle invenzioni del racconto) è perché attraversa i punti nodali del fare visivo, i luoghi in cui le forme, mai cristallizzate, si mostrano allo stato nascente e ogni linguaggio scorre nell’altro.
Tante volte s’è ripetuto per Munari il termine gioco, eppure gioco non è: quel modo, quell’atteggiamento rappresentano l’esito di un lavoro puntiglioso, esatto; le regole non sono affatto nascoste o sublimate, ma esplicite, dichiarate.
«Perché fare sempre e solo design, d’altronde?» Più cose si conoscono e più collegamenti è possibile stabilire.
Il suo approccio alla scrittura poetica non si limita a sottolinearne la poliedricità, ma ne evoca «la sua sperimentazione a tutto tondo nel desiderio di opporsi a ogni forma grande e piccola di dogmatismo culturale, di rigidità mentale, di fondamentalismo intellettuale, di stanzialità». Se è vero che solitamente chi si impegna in tante discipline non eccelle in nessuna, è altrettanto vero che non può mancare l’eccezione. In questo caso Bruno Munari è un’eccellente eccezione, in grado di dare apporti fondamentali a qualsiasi settore abbia esplorato.
I primi undici «teoremi» di questo libretto sono stati scritti e pubblicati su riviste d’arte intorno al 1945; gli ultimi sette, invece, risalgono a quindici anni dopo. Il loro scopo era di «contribuire, a tutto favore del pubblico, alla comprensione di un’opera d’arte, di qualunque genere, perché anche oggi, per chi riesce a liberarsi dai preconcetti, c’è un mondo artistico vivo e interessante che vale la pena conoscere».
Non è una semplice raccolta di enunciati, è molto di più:
L’usignolo canta
l’albero fiorisce
gli uccelli non imitano il gorgoglio dei ruscelli
gli alberi non imitano le nuvole
ma l’uomo
nelle sue manifestazioni artistiche
deve proprio imitare qualcosa?
l’usignolo canta
l’albero fiorisce
l’uomo inventa armonie
di suoni
di colori
di forme
di movimenti.
Dagli aforismi all’haiku giapponese, le invenzioni verbali di Bruno Munari – tra arte e design, valorizzazione dell’inutile e utilizzazione dei valori – innescano scintille imprevedibili e rivelatrici.
La focalizzazione sul messaggio implica la messa fuori fuoco (non un semplice annullamento) del meccanismo di referenzialità esterna, per cui verso una poesia non ci poniamo come di fronte a un enunciato informativo. Ossia non oltrepassiamo subito il ‘messaggio’ in direzione della realtà da esso significata, ma ci concentriamo piuttosto sulle sue caratteristiche formali, sul modo in cui viene espresso. Rime, assonanze, allitterazioni, tutti i meccanismi di ripetizione, un uso particolare del lessico, la costruzione atipica della frase ecc., conducono il lettore a «percepire il linguaggio in sé stesso, e non come un semplice sostituto delle cose o delle idee» (Todorov). Di qui la difficile decodificazione, l’opacità, l’ambiguità propria del dire poetico. Una dinamica aperta, insomma, che trova ragion d’essere nell’inscindibilità del rapporto tra struttura e evento discorsivo.
Un grande equilibrio domina le pagine del libretto: le parole sono accompagnate da disegni con la costante presenza del cerchio che guida il lettore rendendo mobile l’esperienza visiva grazie al peso e alla direzione delle forme. Un arricchimento che procede per sottrazione della parola, tramite il controllo calibrato.
L’estetica di Munari è estetica della logica (per citare Valéry, «la più grande libertà nasce dal più grande rigore»). Non è emozione violenta, bensì prodotto di una coerenza formale. Tutto nasce dall’osservazione e dallo studio delle leggi naturali e matematiche, dalla scoperta dei codici di comunicazione. Compito dell’artista è il disvelamento di queste regole, di queste costanti, che vanno portate alla luce non attraverso l’amplificazione e la ridondanza della forma, ma con un processo di riduzione e scarnificazione che recuperi la radice di una essenzialità ‘etica’ (prima ancora che fisica, ottica e geometrica) fino al punto limite della massima espressività ottenuta con il minimo della materia.
11/11/2020